Martiri della Fede ieri e oggi
(prima parte: ieri)

di Ida Bossi
“Sangue dei Martiri, seme per i Cristiani”
(Tertulliano)
Testimoni del Cristo risorto
Premessa
  Con questo argomento desideriamo rendere omaggio a tutti quei cristiani, conosciuti e saliti agli onori degli altari, e a tutti quelli a noi sconosciuti entrati nella gloria di Dio per le persecuzioni o il martirio subito a motivo della loro fede.
  Vi presenteremo, suddivisi in due parti:
Nella prima parte:
  • Alcuni documenti importantissimi che riguardano scritti, processi o testimonianze di cristiani avvenute nei primi tre secoli d.C. (Lettera a Diogneto, Atti dei Martiri Scillitani, il martirio di Perpetua e Felicita)
  • La sintesi degli Editti di Serica, di Costantino e di Tessalonica
Nella seconda parte:
  • Testimonianze di martiri di oggi
  • Un filmato su Alberigo Crescitelli martire in Cina agli albori del XX sec. e stretto parente della nostra famiglia
 Noi siamo come nani sulle spalle di questi giganti della Fede. Essi ci aiutano a vedere e conoscere un po’ meglio e un po’ di più Gesù, che è la Via, la Verità e la Vita.
  Tertulliano (Cartagine, 155 circa – 230 circa) affermava che il “Sangue dei Martiri è seme per i Cristiani”. Con questa frase egli ha anticipato quanto Papa Paolo VI (2003) diceva, e cioè, che noi non abbiamo bisogno di maestri, di dottori, di scienziati, ma abbiamo bisogno di testimoni.
  Caliamoci ora nel periodo storico dei primi tre secoli d.C.
Lettera a Diogneto
 La Lettera a Diogneto è un breve scritto in greco, che un ignoto cristiano della prima metà del II° secolo rivolge a un amico per spiegare e difendere la nuova fede cristiana. È uno dei più suggestivi documenti dell'antica letteratura cristiana che appartiene ai cosiddetti "Padri apostolici".
  Ecco cosa dice:

“I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini, né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non fu inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano.
La dottrina di un Dio è la loro filosofia.
Dimorano in città sia civili che barbare, come capita. E, pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri.
Partecipano a tutte le attività da buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non mettono in pericolo i loro bambini. Amano fare comunione fra loro e sono fedeli al matrimonio. Vivono nel corpo, ma non secondo il corpo. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere sono superiori alle leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sono sconosciuti eppure condannati. Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Sono disprezzati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono colpiti nella fama e intanto si rende testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati e benedicono, sono trattati con disprezzo e ricambiano con l'onore.
Pur facendo il bene sono puniti come malfattori e quando sono puniti si rallegrano, quasi si desse loro la vita. Gli eretici fanno loro guerra come a gente straniera e i pagani li perseguitano, ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia.
In una parola, i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo; anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo; anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. Il corpo, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima perché gli impedisce di godere dei piaceri sensuali; così anche il mondo odia i cristiani, pur non avendo ricevuto nessuna ingiuria da loro, solo perché si oppongono al male.”

Le persrcuzioni nell'Impero romano
 Le persecuzioni dei cristiani nell'Impero romano consistettero in fenomeni di aggressiva intolleranza popolare e nell'assimilazione della religione cristiana ad un crimine contro lo Stato, con la conseguente condanna dei fedeli della nuova religione (esattamente come oggi nella religione islamica!). Molti proclamarono comunque la propria fede accettando la prigionia, le torture, le deportazioni ed anche la morte: i martiri furono diverse migliaia. Inizialmente tuttavia le autorità locali non ricercavano attivamente i cristiani; le loro comunità continuarono così a crescere, trovando, anzi, nel culto dei martiri nuovo vigore.
Processo dei Martiri Scillitani 180 d.C.
(Scillium, città non identificata dell’Africa proconsolare, era la metropoli di provenienza di questo gruppo di martiri, uccisi a Cartagine il 17 luglio del 180. Sono: Sperato, Narzale, Citino, Veturio, Felice, Acillino, Letanzio, Gennara, Generosa, Vestina, Donata e Seconda, i quali, per ordine del Prefetto Saturnino, dopo la prima confessione di Cristo, furono messi in prigione, confitti in un legno, e quindi decapitati colla spada. Le reliquie di Sperato, colle ossa del beato Cipriano e col capo di san Pantaleone Martire, dall’Africa trasportate in Francia, furono religiosamente riposte a Lione, nella Basilica di san Giovanni Battista.)
  Il questo processo è interessante vedere non solo l’atteggiamento dei cristiani, ma anche del giudice, che in definitiva, fa di tutto per evitare a loro la condanna.
ATTI DEI MARTIRI SCILLITANI
 Essendo Consoli Presente, per la seconda volta, e Claudiano, il 17 luglio a Cartagine furono condotti in tribunale Sperato, Nartzalo, Cittino, Donata, Seconda e Vestia.
  • Il proconsole Saturnino disse: “Potete ottenere il perdono dell’imperatore signor nostro, nel caso che torniate alla ragione”.
  • Sperato disse: “Non abbiamo fatto del male, non abbiamo commesso iniquità, non abbiamo mai parlato male di alcuno, ma abbiamo ringraziato se maltrattati: perciò noi rispettiamo l’imperatore”.
  • Il proconsole Saturnino disse: “Anche noi siamo religiosi e vera è la nostra religione, e giuriamo per il genio dell’imperatore signor nostro e preghiamo per la sua prosperità: così dovete fare anche voi”.
  • Sperato disse: “Se vorrai ascoltare, ti spiego che cosa è la vera religione”.
  • Saturnino disse: “Non ti ascolterò, poiché vuoi offendere le nostre credenze; ma tu piuttosto giura per il genio dell’imperatore signor nostro”.
  • Sperato disse: “Io non riconosco il potere di questo mondo, ma servo a quel Dio che nessun uomo ha visto con questi occhi. Non ho commesso furto, ma se compro qualcosa pago la tassa dovuta: poiché conosco il mio signore, re dei re e imperatore di tutte le genti”.
  • Il proconsole Saturnino disse agli altri: “Rinunciate a perseverare in tale convinzione”
  • Sperato disse: “Convinzione cattiva è uccidere, testimoniare il falso…”
  • Il proconsole Saturnino disse: “Non fatevi traviare dalla pazzia di costui”.
  • Cittino disse: “Noi non temiamo altri che il Signore Dio nostro che è nei cieli”.
  • Donata disse: “Noi onoriamo Cesare come Cesare, ma temiamo Dio come Dio”.
  • Vestia disse: “Sono cristiana”.
  • Seconda disse: “Voglio essere ciò che sono”.
  • Il proconsole Saturnino disse a Sperato: “Insisti nel dirti cristiano?”
  • Sperato disse: “Sono cristiano”.
    E tutti si dichiararono d’accordo con lui.
  • Il proconsole Saturnino disse: “Non volete un po’ di tempo per decidere?”
  • Sperato disse: “ In una cosa tanto giusta non c’è bisogno di riflessione”.
  • Il proconsole Saturnino disse: “Che cosa c’è nella vostra cassetta?”
  • Sperato disse: “Libri e lettere di Paolo, un uomo giusto”.
  • Il proconsole Saturnino disse: “Avete tempo trenta giorni e pensateci”.
  • Sperato disse di nuovo: “Sono cristiano”.
    E tutti si dichiararono d’accordo con lui.
  • Il proconsole Saturnino lesse la seguente sentenza, regolarmente registrata: “Sperato, Nartzalo, Cittino, Donata, Seconda e Vestia rei confessi di vivere conformi alle usanze cristiane: poiché, pur essendo data loro la possibilità di ravvedersi accettando l’ordinamento giuridico romano, hanno pervicacemente perseverato nella loro posizione; sono quindi condannati alla pena della decapitazione”.
  • Sperato disse: “Ringraziamo Dio”.
  • Nartzalo disse: “Oggi siamo martiri nei cieli: ringraziamo Dio”.
    Il proconsole Saturnino ordinò la pubblicazione della sentenza a cura del banditore pubblico.
  • Tutti dissero: “Ringraziamo Dio”
 E così tutti insieme furono coronati del martirio e regnano con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Perpetua e Felicita (+203)
 Questa Passione è stata sempre considerata una perla tra gli atti dei martiri, molto importante per conoscere le idee dei primi cristiani sul martirio.
  Perpetua, Felicita e i loro compagni erano probabilmente originari di Thuburbo Minus, antica città dell'Africa proconsolare in Tunisia. Furono vittime della persecuzione dell'imperatore Settimio Severo e subirono il martirio a Cartagine il 7 marzo del 203.
  Nel 202, un decreto dell'imperatore Settimio Severo (193-211) aveva proibito a tutti i cittadini dell'impero di diventare cristiani, chiunque avesse disobbedito sarebbe stato soggetto a pene severe.
  Perpetua e Sàturo lasciarono dei fedeli e puntuali resoconti delle sofferenze e dei patimenti durante la prigionia, del tentativo del padre di Perpetua di indurla all'apostasia, delle loro visioni e di tutte le vicissitudini prima della loro esecuzione:

Vibia Perpetua, nobildonna di ventidue anni con un figlio lattante, e Felicita, schiava, in stato di avanzata gravidanza, mentre si preparavano a ricevere il battesimo, furono arrestate insieme a Revocato, Saturnino e Secondulo. Qualche giorno dopo si associò ad essi anche Sàturo, assente da quella località al momento del loro arresto. Egli si era volontariamente presentato alle autorità per condividere la felice sorte di coloro che aveva catechizzato.
Felicita era persuasa che non l'avrebbero sottoposta al martirio insieme agli altri, dal momento che la legge vietava l'esecuzione di donne incinte. I suoi compagni di martirio pregarono unanimi il Signore per lei. Appena terminarono l'orazione, Felicita fu presa da vivissime doglie di parto. Un carceriere la apostrofò: “O tu che soffri così duramente, che cosa farai sotto i morsi delle belve, che pure dimostri di disprezzare, ricusando di sacrificare agli idoli?” Gli rispose fidente la martire: “Ora sono sola a sopportare questi strazianti dolori; là, invece, ci sarà un altro con me che mi aiuterà a soffrire, poiché anch'io sono disposta a soffrire per lui”. Una cristiana si prese cura della bambina che diede alla luce.
  Al tempo dell’arresto Perpetua subì il primo assalto da parte del padre, l'unico membro della famiglia rimasto pagano. Vedendo che la figlia non consentiva ad apostatare, le si scagliò contro, quasi volesse strapparle gli occhi. Quando, insieme con gli altri, fu trasferita nel carcere fetido e afoso, due diaconi versarono del denaro alle guardie e le ottennero di trascorrere alcune ore del giorno nella parte più comoda della prigione, di ricevere le visite della madre e di trattenere con sé il bambino, ancora bisognoso del latte materno.
  Pochi giorni dopo, essendosi sparsa la voce che sarebbero comparsi in tribunale, dalla città arrivò il padre di Perpetua a supplicarla: “Abbi un po' di pietà per i miei capelli bianchi! Guarda tua zia! Guarda tua madre! Guarda tuo figlio! Abbandona questo tuo pazzo proposito!”. E le baciava le mani e, piangendo, la chiamava non figlia, ma signora! Perpetua cercò di consolarlo dicendo: “Quando sarò portata su quel palco, si farà la volontà del Signore, sappi, infatti, che non siamo più noi i padroni della nostra vita, ma Dio stesso”.
  Un giorno, all'ora del pranzo, furono improvvisamente condotti via per essere interrogati dal magistrato. Al foro accorse un’innumerevole folla. Nel momento in cui Perpetua stava per confessare la sua fede sul palco, giunse suo padre a supplicarla, tenendo in braccio il figlio di lei: “Abbi pietà di questo bambino!” Anche il procuratore Ilariano la esortò ad avere compassione e del padre e del frutto del suo seno, offrendo un sacrificio per la salute degli imperatori. “Non lo faccio - rispose irremovibile Perpetua - Sono cristiana!”. Il padre le stava dappresso per farla rinnegare, ma Ilariano lo fece cacciare a bastonate e condannò i cristiani ad essere sbranati dalle fiere.
  Pochi giorni prima dello spettacolo, i martiri furono trasferiti nel carcere castrense, dove Perpetua fu ancora una volta esortata ad apostatare dal padre che prese a strapparsi la barba e a gettarsi ai suoi piedi.
  La vigilia del supplizio ai condannati alle belve fu preparato un lautissimo banchetto in pubblico secondo la consuetudine.
  Al popolo, accorso curioso a vedere, essi parlarono con la solita franchezza, minacciando il giudizio di Dio, dicendosi felici di essere destinati al martirio. Di fronte a tanta fortezza d'animo numerose persone si convertirono.
  Il 7 marzo, durante uno spettacolo castrense per celebrare il compleanno del cesare Geta, figlio di Settimio Severo, i cinque catecumeni furono condotti nell'anfiteatro. Perpetua entrò nell'arena cantando a gran voce un salmo, Revocato, Saturnino e Sàturo rivolgendo pacate parole di ammonimento alla folla. Con loro grande consolazione furono, a più riprese, frustati dai carnefici disposti in fila, armati di cinghiette di cuoio a foggia di staffile. Gli uomini, legati a un palo issato su di un rialzo a mo’ di palco, furono esposti ai morsi di un leopardo e di un orso; le donne alle cornate di una furiosissima mucca. La prima ad essere afferrata e straziata fu Perpetua che ricadde supina. Ma essa, raddrizzatasi sul busto, si ricoperse con la tunica il femore, più sollecita del suo pudore che del suo dolore. Indi, raccolte le forcelle, si appuntò i capelli arruffati e scomposti. Infatti, non conveniva ad un martire, affrontare la morte con i capelli sparsi, così da sembrare in lutto pur tra la sua gloria. Si alzò allora e aiutò Felicita a fare altrettanto. Ambedue, sorreggendosi a vicenda, rimasero in piedi finché, sbollita l'ira della folla, furono condotte con gli altri nel luogo destinato al colpo di grazia. I martiri vollero porre fine alla loro vita scambiandosi il bacio di pace. A Perpetua, però, era riservato ancora un atroce tormento. Difatti, il ferro, mal guidato, s'impigliò fra le vertebre della sua gola facendole emettere un forte gemito. La fortissima donna guidò allora l'incerta mano dell'inetto gladiatore attraverso le sue carni.

I loro corpi furono sepolti a Cartagine.

III secolo
Le grandi persecuzioni
 Vediamo, ora, di capire la ragione delle successive ancora più efferate persecuzioni.
  Nel III secolo l’impero romano (235-284) entra in una grande crisi dovuta essenzialmente a questi fattori.
  • Pressione nemica ai confini (l’impero era enorme)
  • Disordini interni
  • Crisi del sistema economico
  • Instabilità politica
 Si tenta di riorganizzare lo stato con editto sui prezzi che fallisce. Poi Diocleziano crea la Tetrarchia (306-324).
  A causa della crisi, si sospetta che la Pax Deorum (pace con gli dei), che indicava una situazione di concordia tra la comunità dei cittadini e le divinità della religione romana venga meno, che manchi la protezione degli dei!
  La colpa di tutto ciò viene attribuita a coloro che non onorano gli dei. Si decide di sterminare i cristiani colpevoli di questo e la prima grande persecuzione è quella di Decio proprio perché si rende conto che il cristiano fa proselitismo ovunque. Si valuta che i cristiani fossero circa il 10% in oriente e il 5% in occidente.
  Decio, Valeriano e Diocleziano, Galerio, spinti anche da considerazioni politiche, ordinarono pertanto persecuzioni più attive e severe, che tuttavia non arrivarono a sradicare il cristianesimo.
  • Valeriano (200-260)
  • Decio (201-251)
  • Diocleziano(244-311)
    303 Persecuzione di Diocleziano (Tetrarca)
  • Galerio (250-311)
    (Tetrarca)
IV secolo: Gli Editti di Tolleranza
 Cosa avviene nel IV secolo che fa mutare la situazione a favore dei cristiani?
  La situazione globale dell’impero romano è sempre più problematica. Gli antichi dei hanno fallito, non c’è più la Pax Deorum. Il cristianesimo ha un Dio più potente... conviene ingraziarselo!
  Dopo le persecuzioni violente nel III secolo, il 30 aprile 311 a nome degli Augusti Galerio e Licinio fu emesso l’Editto di Serdica (o di Galerio), il primo editto di tolleranza anche verso i cristiani, che ne accordava la liceità.
  L’Editto di Milano (noto anche come Editto di Costantino, Editto di Tolleranza o Rescritto di Tolleranza) fu essenzialmente una sorta di “circolare applicativa” dell’editto di Galerio, diffuso nel 313 a nome di Costantino I, imperatore di occidente e di Licinio, imperatore di Oriente.
  Gli ultimi strascichi delle persecuzioni si sovrapposero alle prime lotte contro gli eretici; dopo pochi decenni sarebbero iniziate le persecuzioni contro i pagani.