Un giorno i bambini della terra si accorsero che Natale veniva -celebrato in tanti modi diversi e che spesso non veniva celebrato affatto come Natale.
Poi, scoprirono che i diversi modi di celebrare il Natale, o di non celebrarlo, derivavano dal fatto che esso veniva chiamato in troppi modi diversi.
Chiesero ai genitori una spiegazione, ma si accorsero subito che essi erano già schiavi della loro propria lingua.
Esplorarono i luoghi di culto delle loro città. Da ogni chiesa uscivano canti e preghiere. Chiesero ai sacerdoti se quello era l'unico modo possibile di celebrare il Natale nell'universo. Furono subito distolti, con soave fermezza, dal pensiero che quello non fosse 1'unico modo possibile di celebrare il Natale nell'universo.
Chiesero allora ai maestri come mai il suono di una parola poteva avere tanta forza da tirarsi dietro anche tutto il suo significato. I maestri, stupefatti e allarmati, diedero subito a ciascuno dieci esercizi di lessico, in cui si chiedeva di fare una ricerca etimologica prima e semantica poi. Visitarono allora ogni angolo del mondo e si accorsero che ovunque la gente celebrava il proprio Natale, riempiendolo di significati suoi o anche di non significati. Si accorsero che dovunque e sempre tutti erano certi che non ci fossero altri modi di celebrarlo. Trovarono, anzi, un paese in cui si negava che esistesse il Natale; e un altro nel quale si imponeva a tutti di credere nel Natale nazionale, e trovarono moltissimi paesi nei quali si sosteneva che il Natale veniva sì celebrato fuori del loro confini, ma in mode del tutto sbagliato.
I bambini però non avevano mai visto del popoli confinanti e neanche avevano per la testa il concetto di popolo o di confine. Decisero quindi, per la prima volta da soli, di prendere in mano la situazione.
Un piccolo francese che aveva visto suo fratello maggiore scrivere sul muro di una casa: «Siate realisti, chiedete l'impossibile!», e che si era sempre chiesto se il possibile non fosse la piatta filosofia degli adulti, fece suo il motto e lo propose in questa forma: «Siate cristiani, chiedete l'impossibile!». Il piccolo Ivan, più evoluto metodologicamente, propose, invece, questo slogan: «Bambini di tutto il mondo unitevi». A un altro venne in mente il titolo di un libro del suo paese che diceva: «Il mondo salvato dai bambini!». Alla fine fecero un proclama senza titolo che suona press'a poco cosi :
«Genitori non ci saremo più per il bacio delta buona notte!
Maestri! non avrete più i nostri compiti da correggere!
Politici! non avrete più da discutere la nostra riforma scolastica!
Sacerdoti! non avrete più le nostre anime candide per far corona all'altare, le nostre voci bianche per cantare i vostri Gloria!
Adulti di ogni latitudine ascoltateci!
Rivendichiamo il diritto alla ignoranza se la vostra cultura continuerà a seminare divisioni e incomprensioni in nome dell'orgoglio linguistico.
Vogliamo che tutta la carta stampata che va sotto il nome di Vocabolari e di Grammatiche sia riciclata e ridiventi legno, e legno da ardere senza rimpianti.
Vogliamo che una sola sia la Grammatica, uno solo il Vocabolario per tutti gli uomini.
Vogliamo che in una lingua unica venga tradotto tutto ciò che l'uomo ha lasciato scritto su questo pianeta; vogliamo che siano tradotti anche i libri di storia, purché siano messi nel museo dei fossili e non in biblioteca.
Non riusciamo più a capire perché dobbiamo essere educati a non capirci per il tramite di una lingua particolare, mentre piangiamo e ridiamo tutti allo stesso modo.
E quando veniamo al mondo — lo diciamo qui per inciso — fateci la cortesia di accoglierci in silenzio e a lume di candela; non spaventateci con i rozzi suoni dei vostri dialetti: oltreché renderci traumatico l'arrivo nello spazio e nel tempo ci sporcate lo spirito ancora indifeso.
Come mai ci date il medesimo latte per riempirci lo stomaco e poi ci insegnate parole diverse per nutrire il nostro pensiero? Non sono le parole che nutrono il pensiero, sono le realtà da esse significate! E se è così perché ci sottoponete alla cretina fatica di adoperare più di tremila strumenti diversi per comunicare le stesse realtà? La parola è legata allo spirito che la produce, ma perché gli spiriti non si sono ancora accordati per agevolare tra loro il dialogo e la comunione?
Se la lingua è un condizionamento sociale necessario noi non vogliamo essere condizionati che da una lingua che renda possibile l'incontro diretto con tutti i bambini del mondo. Se riusciremo a fraternizzare fra noi, porteremo anche voi — genitori, maestri, politici e sacerdoti — a fraternizzare fra voi. Abbiamo capito che la capacità di esprimere il pensiero ci distingue dagli animali, ma abbiamo anche capito che l'ostinazione campanilistica a volerlo esprimere in mille modi diversi ci rende peggiori degli animali.
Voi dite di voler favorire le nostre capacità creative, ma intanto ci togliete la possibilità di giocare fra noi, di scambiarci le nostre esperienze infantili, di farci magari le boccacce attraverso i grandi mezzi di comunicazione che voi utilizzate per mostrare frontiere, sommosse, divisioni.
Voi volete costringerci a imparare una decina di lingue per renderci dei piccoli mostri capaci di comunicare con i popoli «civili», ma non vi è mai passata per la testa l'idea più semplice di mettervi d'accordo sulla scelta di una lingua internazionale uguale per tutti?
Non perdete tempo, affrettatevi a scegliere una lingua fra le tante naturali o artificiali del mondo e una volta scelta date ordine di impartirla in tutte le scuole elementari del mondo e noi torneremo a scuola con 1'entusiasmo dei pionieri. Fate, pero, attenzione! La lingua da voi scelta deve essere impartita col metodo naturale — e non insegnata come un idioma straniero — a fianco della cosiddetta lingua nazionale e su piano di assoluta parità con questa. Siamo certi che in un decennio una nuova generazione di interlinguisti fiorirà in ogni parte delta terra. Fra trenta o quarant'anni saremo pronti a tenere le redini della vita mondiale.
Forse il vero Natale di Gesù chiede anche a voi questo sforzo di tornare bambini come noi, per due o tre anni, sui banchi di scuola. Ne uscireste con l'anima rinnovata.
Vi annunciamo un anno zero, a partire da oggi. Tutta la terra dovrà essere una città dei bambini senza guide, senza interpreti, senza traduttori, tutto dovrà essere comprensibile a tutti. Noi vogliamo poter esplorare la terra come se fosse la nostra casa, giocarvi come se fosse il nostro giardino. Non vogliamo sentirci ne stranieri, ne emigrati. Abraham andrà a farsi curare ad Amsterdam e capirà finalmente tutto quello che gli dicono i medici. René andrà da Rudolf e Rudolf da Tung-p'ò. Concetta vedrà ,finalmente l'Operà di Parigi e di Vienna senza passare dall'agenzia di turismo. Paquito comporrà per noi la sua odissea sud-americana in lingua universale! Hans finalmente si farà spiegare da Alì chi ha una gobba e chi due nei deserti del mondo e Ivan racconterà a John i segreti infiniti e fascinosi delle nevi e delle steppe. Scopriremo che ci sono tanti poeti, tanti amici che ci aiuteranno a dimenticare la schiavitù di Babele e a costruire l'unita degli esseri pensanti.
Chi poi tra noi celebra il Natale di Gesù non può più recitare la ninna nanna davanti a un Presepe che ci divide nell'atto stesso in cui invochiamo la pace per gli uomini di buona volontà.
Non possiamo più desiderare né doni né giocattoli finché non ci sarà data una lingua universale per parlare di pace fra noi.
Ci rifiutiamo di aspettare Babbo Natale e di scendere a mezzanotte presso la culla di Gesù Bambino perché abbiamo capito che proprio Gesù Bambino vuole — e per questo è nato — che tutti gli uomini diventino una cosa sola. Egli vuole che la parola (la lingua) diventi una per unire tutti gli uomini, così come Lui (Parola) si è fatto bambino perché tutti i bambini diventino Dei».