Enhavo
(da:
http://proposta.dehoniani.it/letture/2009/dicembre.htm)
Padre Luigi Alfano: Natività
El la homilio de la 17-11-2007 pri la la evangelio laŭ Mateo: "Do viglu: ĉar vi ne scias, en kiu tago via Sinjoro venos." Galgano Guidotti estis juna vaganta kavaliro je belaj esperoj. Alvenis ankaŭ por li la voĉo de Dio. Li forprenis la glavo el glavingo, ĝin enpikis forte en rokon, surgenuiĝis antaŭ tiu kruco improvizita, kaj decidis sin retiri en eremitejon. La glavo restis ĉiam enpikita en tiu loko kaj neniu sukcesis ĝin eltiri. Galgano havis sonĝon: arkanĝelo Miĥaelo sin montris al li sur monto Siepi, proksime de Siena, interparolis pri li kun la apostoloj kaj al li ordonis sin retiri sur monton kaj konstrui preĝejon. Tiel serioze li prikonsideris sian konvertiĝon, ke en 1185, nur kvar jarojn post lia morto, papo Lucio la tria sanktigis lin. En la vivo de Galgano Guidotti oni reale vidas la plektiĝon kaj fandiĝon de du tempoj: la tempo de la homo kaj la tempo de Dio, la ĉeestaĵo kaj la estontaĵo, la tempo de la sperto kaj la tempo de la lastaĵoj. Feliĉe ni havas la tempon de la graco, la tempon en kiu la Sinjoro venas en nian animon, ĝin pravigante kaj sanktigante. Dum la Advento ni celebras kune la kronologian tempon kaj la tempon definitivan, la tempon en kiu okazas la homaj faritaĵoj, la detruo de la templo kaj de Jerusalemo, (Jesuo diras: ne estos lasita ĉi tie ŝtono sur ŝtono, kiu ne estos deĵetita) kaj la tempon de la fina alveno de Jesuo: oni vidos la Filon de homo, veninta en la nuboj de la ĉielo kun potenco kaj gloro. Ĉiu tempo estas signita de la agado de Dio; ĝi estas ŝanco de konvertiĝo; tamen ĝi estos momento en kiu Jesuo montros sin kiel juĝanto de la Ĉielo kaj de la Tero. La fina alveno de Jesuo estas nomata ήμέρα διαγνώσεος, la tago de la diagnozo. Kiam kuracisto faras diagnozon, li diras tion, kio estas, li malkaŝas, kian reale estas via sano. La tagon de la juĝo la Sinjoro faras la diagnozon de nia esto: kiuj ni estas, kiel ni estas, kion ni faris. En Apokalipso oni diras: veraj kaj justaj liaj verdiktoj. Estos malfermitaj la libroj de la vivo, kaj ĉiu devos ekspliki tion, kio tie estas skribita. Ni estas kiel rizomo, la arbo vivanta kun aeraj radikoj; ni estas etendintaj ĝis la altaĵoj kaj el la altaĵoj ni prenas la limfon. Aŭ ni similas al blanka paperfolio, sur kiu ni povas skribi senutilajn skribaĉojn, aŭ kiun ni povas malpurigi per inkomakuloj. Jesuo ne kaŝas la ekzistadon de malfacilaĵoj en la Eklezio: la apero de falsaj profetoj, la ĉeesto de maljusteco, la malvarmiĝo de la amo en la plimulto, sed ĉefe Jesuo memoras al ni paciencon kaj persiston. Jesuo diras: faru tiel, kiel se la alveno de la Filo de homo estus tuja. Kiel serioze ni atendas la renkontiĝon kun li, se mia preĝo estas malprofunda kaj supraĵa, se mi ne ricevas la sakramentojn, se mia partopreno en la Eŭkaristio estas sen konvinko? Sankta Katerina de Alessandria estis juna klera kaj bela. Kuraĝige ŝi diris al imperiestro: vin instruu pri la kono de Dio kaj de lia Filo Jesuo, kiu venis kiel savanto. La imperiestro stariĝis surprizita pro ŝia sincereco kaj firmeco. Li ŝin invitis interparoli kun la filozofoj kaj la saĝuloj de la kortego. Katerina akceptis, kaj la saĝuloj konvertiĝis al la kredo. Ili estis arestitaj kaj enkarcerigitaj. Ankaŭ ŝi estis enprizonigita, tamen ŝi ne maltrankviliĝis. Ĉiutage kolombino portis al ŝi manĝaĵon. Ĉu tia estas nia vivo? Ĉu ekzistas kolombino portanta al ni ĉiutage la panon de Dio? Ĉu nia fenestro estas malfermita aŭ la kolombino devas lasi la manĝaĵon sur la fenestrosojlo?
Mons. Giovanni Balconi
Riporto qui sotto parte di un mio scambio di posta elettronica che ritengo possa interessare i lettori.
Giovanni Daminelli Caro Giovanni,ho letto su Internet che sei anche il presidente dell'Unione Esperantisti Cattolici e ti scrivo per sottoporti una serie di riflessioni che spesso mi capita di fare. Innanzitutto questa notizia mi fa tirare un sospiro di sollievo, perché ultimamente avevo come l'impressione che l'esperantismo fosse un movimento in qualche modo legato, se non all'ateismo, se non ad un comunismo vecchia maniera, comunque ad un modo piuttosto qualunquista e falsamente democratico di intendere la vita. Mi pare che soprattutto in alcuni paesi dell'Europa centrale prevalga questo tipo di concezione, che francamente non condivido. Certo, siamo tutti fratelli e sogniamo un mondo nel quale sia possibile comunicare con tutti e convivere pacificamente con tutti. Però mi pare che talvolta si registri qualche eccesso di apertura: un esperantista inglese, redattore di una rivista, alla quale da qualche tempo invio alcuni articoli, mi ha invitato a non utilizzare nel mio ultimo pezzo l'espressione “a.K.” (avanti Cristo), in quanto offensiva (!!!) nei confronti dei lettori di altre fedi, invitandomi ad abbracciare la nozione di “a.k.e.” (antaŭ komuna erao), che a suo dire è più democratica e pienamente accettabile anche per i cristiani. Vorrei sapere cosa ne pensi di questo eccesso di sensibilità e se anche tu, nella tua militanza fra gli esperantisti, hai notato questo filone, questa corrente di persone, che vorrebbe attraverso l'esperanto - anziché valorizzare le culture, le lingue e le religioni dei vari paesi praticamente abolirle in nome di una fantomatica neutralità. Grazie, Roberto
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Caro Roberto,la sigla “a.k.e.” mi è del tutto nuova e mi fa sorridere. Veramente si cade nel ridicolo. Lo stresso PIV (Plena Ilustrita Vortaro) edito dal SAT, quindi da un organizzazione palesemente di sinistra, nelle sue abbreviazioni usa a.K. e p.K. (con la K maiuscola) ed ignora la sigla “a.k.e.” che, anche scritta per esteso, è difficilmente comprensibile (cosa vuol dire “era comune”, forse era meglio “nuna erao” = “era attuale”) Parliamo d'altro. L'esperanto è una lingua e come tale del tutto neutrale. Tra gli esperantisti c'è di tutto, atei e religiosi, ricchi e poveri, professori e operai, di destra e di sinistra. Ci sono organizzazioni esperantiste che sono finalizzate alla lingua, generalmente collegate all'UEA, ma non tutte, e ci sono quelle che usano la lingua per i loro scopi. Come organizzazione cattolica siamo impegnati in diverse attività: - All'interno della Chiesa Cattolica (cioè universale), che ha bisogno di una lingua universale (ora che si è accantonato il latino). Però la lingua per funzionare ha bisogno di gente che la pratichi, da qui il nostro impegno per la sua diffusione. In questo abbiamo il sostegno della gerarchia: la Santa Sede ha approvato il messale in esperanto, la Radio Vaticana trasmette in esperanto tre volte la settimana, il Papa saluta anche in esperanto prima della benedizione Urbi et Orbi di Natale e Pasqua. In alcune città viene regolarmente celebrata una S.Messa mensile in esperanto. - Nei rapporti ecumenici. Ogni due anni ci riuniamo in congresso con i fratelli protestanti, ci scambiamo le nostre pubblicazioni ed abbiamo pubblicato insieme un libro di preghiere (Adoru) di circa 1500 pagine e una nuova edizione della Bibbia in esperanto. - Nei rapporti con il mondo laico, per portare la nostra testimonianza. È pur vero che gran parte degli esperantisti mostra freddezza nei confronti della religione, ma ho notato che come samideani ci aiutiamo a vicenda indipendentemente dal ns. credo. Non ce la prendiamo per qualche battuta cattiva: a Gesù Cristo hanno fatto peggio. - Nei rapporti tra gli associati, con le nostre pubblicazioni periodiche, i nostri congressi ed incontri vari. - Nelle opere di carità. Recentemente siamo stati particolarmente presenti in Africa dove il movimento esperantista sta sviluppandosi molto bene. Grazie alla lingua comune veniamo a conoscenza delle loro esigenze e cerchiamo di aiutarli in vario modo. Se vuoi approfondire, puoi visitare il nostro sito internazionale: www.ikue.org o quello italiano gestito da me: www.ueci.it. Ĝis, Giovanni
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Buondì Giovanni!Mi sorprende che non fossi a conoscenza di quest'espressione, a quanto pare assai diffusa. Dai un'occhiata al sito http://eo.wikipedia.org/wiki/Komuna_Erao, ne esiste cliccando sulla sinistra anche una versione in italiano. A presto! Roberto
1) Prima dell'IDO (prelego di Giovanni Daminelli) Fin dal suo apparire nel 1887, l'esperanto ha stimolato i suoi studiosi a proporre dei miglioramenti, io stesso, da principiante, pensavo a quali miglioramenti avrei potuto introdurre. La prima proposta di un esperanto riformato compare già nel 1888 da parte di un olandese, Braakman, che chiamò la sua nuova lingua Mundolinco, che di fatto risulta essere il primo esperantido. Le sue proposte di modifica si ritrovano poi spesso nelle proposte successive e consistevano sostanzialmente nell'abolizione dei supersignoj, che creavano problemi alle tipografie (e attualmente agli informatici) e dell'accusativo, che risultava di difficile apprendimento per molti. Inoltre assegna ad aggettivi ed avverbi la medesima finale “-e”, cioè non distingue l'aggettivo dall'avverbio, un po' come accade spesso per l'inglese e anche in italiano (come in “stringi forte”, “corre veloce”, “parla chiaro”, etc), poi introduce delle variazioni nella coniugazione dei verbi e usa un dizionario più ricco di radici neolatine. Nel 1889 nasce la prima rivista esperantista "La Esperantisto" e su di essa, già dai primi numeri, cominciano a comparire numerose proposte di modifica suggerite dai lettori. Si tratta in gran parte di soluzioni già pensate da Zamenof nel suo lungo lavoro di costruzione della lingua, ma poi da lui rigettate perché inadeguate. Ecco come Zamenof reagisce in un articolo apparso su "La Esperantisto" del 1891: Unu redaktoro de sveda gazeto trovis,ke nia lingvo havas karakteron tro italan.Kiam mi ne povis akcepti lian propononkaj sen ia celo "malitaligi" nian lingvon,la proponinto nelonge atendis kaj provis fari mem miksaĵon,kiu laŭ lia opinio devus pli plaĉi al la nordaj popoloj. Ni ne bezonas rakonti, kio fariĝus el nia afero,se ĉiu popolo volus, el simpla vanteco,doni al ĝi sian propran karakteron.Nia afero fariĝus absolute neebla.Kaj se ĝi estus ebla,- ĉu la flatita popolo mem ion gajnus de tio? La dirita sveda sinjoro,kiu en la komenco diris,ke liaj ŝanĝoj estas necesaj,kaj faris provojn en la daŭro de kelka tempo,nun vidas jam, al kio ĝi lin kondukis:La lingvo fariĝis malbonsona kaj malregula,kaj el la svedoj mem,per kies nacia flato li volis pereigi nian aferon,neniu akceptis liajn ŝanĝojn,dum nia lingvo en ĝia nuna formo,kiu estas tiel "malsveda",havas multajn amikojn inter la svedojkaj estas al ili multe pli oportuna kaj pli hejma,ol la svedigita,kiu mortis, antaŭ ol ĝi akceptis ian difinitan formon. Unu el niaj slavaj amikoj trovis,ke la lingvo internacia devas havitiom same la slavaj vortoj,kiel da romana-germanaj.Li ankaŭ volis krei novan lingvon,kiu enhavus en si multajn vortojn slavajn;sed baldaŭ li konvinkiĝis,ke ne sole al la aliaj popoloj,sed al la slavoj memmulte pli oportunaj kaj agrablajestas niaj vortoj romana-germanoj,ol la vortoj slavaj, kiuj,enmetite en sistemon romana-germanan,tranĉas la orelon kaj fariĝas al la slavoj memmulte malpli kompreneblaj,ol la vortoj ne slavaj. (Se mi bone memoras,la vorto "internacia" tie estis tradukata "meĵufoka";sed mi petas, ke iu slavo diru al mi;kion pli bone li komprenas kaj memoros,la vorton "internacia" aŭ "meĵufoka"?Li estos preta serĉi la vorton en ia ĥina vortaro,kaj al li eĉ ne venos en la kapo,ke la vorto estas kunmetitael lia propra slava "meĵdu"kaj el la germana "Volk",perdinte la "d" kaj la"l",ĉar ankaŭ 2 konsonantoj ne devas stari kune!). Se la amiko, egale al la aliaj, farus sian proponon nur teorie,li eble eĉ nun restus ĉe sia opinio kaj eble kolerus nin,ke ni estas tiel obstinajkaj ne volas enkonduki tiun ĉi "necesan" ŝanĝon; sed feliĉe li faris provon praktikan,kaj la praktiko lin plej bone konvinkis,kaj nun li denove fariĝis tre varma amiko de nia lingvoen ĝia nuna formo. El la diritaĵo ni povas eltiri la sekvantan regulon:se ni volas proponi aŭ fari ian ŝanĝon,ni devas nin demandi,kian utilon la ŝanĝo alportus al la lingvo mem,kaj ĉu la utilo de la ŝanĝo kovrus la malutilon;sed ni neniam devas obei la senfondajn gustojn kaj la simplan vantecon de ia aparta nacio,ĉar tiam ni malutilon alportus al nia aferograndankaj utilon ni alportus al neniunenian. En ĉiuj okazoj,kiuj ne estas absolute gravaj per sia enhavo mem,vantaj senkaŭzaj gustoj naciajdevas en afero internaciatiel same absolute silenti,kiel la gustoj personaj,se ni ne volas el persona aŭ nacia disputemecopereigi nian aferon;tiuj gustoj devis silentijam en la tempo de la kreado de la lingvo,kaj tiom pli ili sendube devas silenti,se ilia obeado postulas rompadon en nia lingvo. Zamenhof però si rende conto ben presto che tutte queste proposte dissuadevano gli autori dal produrre opere in esperanto, perché in caso di riforma il loro lavoro sarebbe risultato inutile, quindi egli raccoglie tutti i diversi suggerimenti, ne dà un ordine logico, e con il primo numero del 1894 inizia a presentare un Esperanto reformita che proporrà democraticamente alla votazione della “Ligo Esperantista”, costituita di fatto da tutti gli abbonati della rivista. In cosa consiste la riforma? Oltre alle modifiche lessicali, per renderlo più vicino alle lingue romanze, le modifiche principali sono: Alfabeto semplificato di 21 lettere senza supersignoj: La "c" pronunciata come la vecchia "ŝ" e la "z" come la vecchia "c". Eliminazione dell'articolo determinativo. Eliminazione dell'accusativo. Il plurale dei sostantivi con desinenza "-i" anziché "-oj". Gli aggettivi e gli avverbi finiscono ambedue per "-e". Nuova coniugazione dei verbi: "-a" (infinito), "-an" (imperativo), "-un" (condizionale),"-en" (presente), "-in" (passato), "-on" (futuro)due soli participi: -ente (attivo), -ate (passivo) Pronomi personali: mu, tu, lu (li), elu (ŝi), su (si), nu, vu, loru (ili),con eliminazione dei pronomi “ĝi” e “oni” Eliminazione della tabella dei correlativi. Eliminazione della preposizione “je” e del suffisso “-op”. Ci si chiede perché una riforma così radicale. Risponde Zamenhof stesso ne “La Esperantisto” n.85 del 1894: “mi proponis reformojn grandajn kaj radikalajnpor fini la malagrablan demandon per unu fojo” Si vede che Zamenhof non è favorevole alla sua riforma, ma lascia liberi gli elettori di scegliere. Viene proposta una scelta tra 4 opzioni: 1) Nessuna riforma 2) La riforma proposta 3) Una riforma, ma diversa 4) La riforma proposta, ma con qualche modifica. Nel caso che il punto 1 o il punto 2 non avessero ottenuta la maggioranza assoluta, si sarebbe dovuto preparare una nuova riforma da sottoporre a votazione. I risultati finali vengono dati nel novembre 1894. Su 264 votanti: 157 votano contro la riforma, e dei restanti 107: 11 per la soluzione 2, 3 per la soluzione 3, 93 per la soluzione 4. Quindi viene approvato a larga maggioranza di non apportare modifiche all'esperanto esistente: si può così cominciare a produrre opere letterarie su vasta scala. Un'ulteriore stabilità viene conferita alla lingua dal primo Universala Kongreso del 1905 dove viene definita l'intangibilità del “Fundamento de Esperanto”. Sembra che tutto vada per il meglio, ma agli inizi del '900 due matematici francesi Luis Couturat e Léopold Leau fondarono la “Delegazione per l'adozione di una lingua internazionale” che elesse a tale scopo un comitato di 18 membri. A rappresentare la tesi dell'esperanto Zamenhof mandò il linguista marchese Luis de Beaufront (che non era né marchese ne Beaufront), un teorico della lingua molto attivo tanto da essere considerato il secondo padre dell'esperanto. In realtà questo signore non era così affidabile. Aveva già elaborato un progetto di modifica dell'esperanto che aveva chiamato Adjuvanto (non lo trovate nell'elenco degli esperantidoj perché la documentazione è andata persa, ci è rimasto solo la traduzione del PadreNostro). In questa funzione, nascondendosi dietro lo pseudonimo di “Ido”, anziché perorare la causa dell'esperanto, propose un suo esperanto riformato, che poi venne approvato dal comitato nel 1907. Zamenhof si oppose che nel nome della lingua riformata comparisse la parola “Esperanto” e quindi la si chiamò “Ido”. Nacque così il cosiddetto scisma dell'Ido. Data la fama e l'autorità di Beaufront, parecchi esperantisti passarono alla nuova lingua e si dedicarono alla sua propaganda, ma la maggioranza rimase fedele al Fundamento. Lo scisma fu grave, ma di ciò parleremo dopo che Tiziana ci avrà parlato dell'Ido.
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2) L'IDO (sintesi della
prelego di Tiziana Fossati)I protagonisti • Louis Couturat (1868 – 1914): era un matematico, logico e glottoteta francese, noto per i suoi contributi allo sviluppo della logica formale. Fu fondatore della “Delegazione per l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale”. • Il marchese Louis de Beaufront (1855 – 1935) è stato un linguista, glottoteta ed esperantista francese. La sua vita rimane piena di misteri: si seppe dopo la sua morte che non era marchese, che era di padre sconosciuto e che il suo vero nome era in realtà Louis Chevreux. Precettore privato al servizio di ricche famiglie, celibe. Consacrò tutto il suo tempo libero alla diffusione della lingua, creò le basi del movimento esperantista.Alcune divergenze lo opposero all'iniziatore della lingua, Ludwik Lejzer Zamenhof e alla maggioranza degli esperantisti francesi. Non partecipò al primo congresso esperantista di Boulogne-sur-Mer dove fu adottato il Fundamento de Esperanto, cioè le norme intangibili che garantiscono la stabilità della lingua. Louis de Beaufront creò l’IDOcome tentativo di creare una versione più semplice dell'esperanto. Ido in esperanto significa discendente ma è anche l'abbreviazione di “Esperantido”. La storia Nell'ottobre 1907, a Parigi, un comitato internazionale di 18 membri si riunì per scegliere la lingua artificiale più adatta alla comunicazione internazionale. Gli inventori dei sistemi linguistici erano stati invitati a difendere i loro sistemi. Il dott. Zamenof si era fatto rappresentare dal Marchese de Beaufront. Durante l'ultima seduta Louis Couturat presentò il progetto anonimo dell’IDO, al posto dell’autore. Nessuno fra i membri del comitato sapeva chi fosse l’autore. Si sospettava che Louis de Beaufront ne fosse l'autore, nonostante rappresentasse contemporaneamente il dott. Zamenhof dinanzi al comitato. Si riunì un piccolo sottocomitato che approvò all'unanimità (anche con i voti degli esperantisti) la dichiarazione seguente : “Nessuna fra le lingue esistenti può essere accettata in blocco senza cambiamenti”. Ma il Comitato decise soprattutto di adottare l’Esperanto per l'ampio impiego che ne era stato già fatto, ma con riserva di molti cambiamenti realizzabili da parte della Commissione permanente in accordo con il comitato linguistico esperantista. Il dott. Zamenhof rifiutò qualunque cambiamento. Da uno studio di Couturat il vocabolario di Ido è basato su quello delle principali lingue europee: francese, inglese, italiano, russo, spagnolo e tedesco: • 2024 radici (38%) comuni a 6 lingue • 942 radici (17%) comuni a 5 lingue • 1111 radici (21%) comuni a 4 lingue • 585 radici (11%) comuni a 3 lingue • 454 radici (8%) comuni a 2 lingue • 255 radici (5%) comuni a 1 lingua L’alfabeto • Ido usa le 26 lettere dell'alfabeto “Latino”, senza lettere accentate: A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z • la lettera Jè sempre pronunciata come in esperanto ĵ • La lettera H è sempre aspirata • la lettera W, rara in Ido, è pronunciata u • la lettera X è pronunciata ks o gs • la lettera Y è pronunciata j • le lettere appaiate CH si pronunciano ĉ • le lettere appaiate SH si pronunciano ŝ • L'ido inoltre evita alcuni gruppi di consonanti presenti invece in esperanto (quali ad es. /kv/, /gv/) mentre usa alcuni gruppi non presenti in esperanto (/kw/, /gw/). Accento • Quasi tutte le parole in Ido prendono l’accento alla penultima sillaba: libro, simpla, apud, granda, pardono, avertas, mashino, trovebla. • Eccetto: 1) Gli infiniti dei verbi finiscono con una delle tre terminazioni: -ar, -ir, -or, e sopra tale terminazione cade l’accento: trovar, parolar, studiar, parolir, manjor. 2) Nelle parole plurisillabe, una i o una u immediatamente prima di una vocale non riceve mai l’accento, per cui lo riceverà la sillaba precedente: studias, linguo. (attenzione: questa regola NON si applica agli infiniti dei verbi: ad es.: studiar). 3) i dittonghi eu au: si considerano una sola vocale. Sostantivi e aggettivi • Un sostantivo termina, al singolare, con la lettera -o, • Un sostantivo termina, al plurale, con la lettera -i, • L’aggettivo termina con la lettera -a, è invariabile e può precedere o seguire il sostantivo (es: la rapida kavalo, la kavalo rapida / La infanto felica / la infanti felica) Il genere • la maggior parte delle parole in Ido possiede il genere neutro: ad es.: kuzo = cugino o cugina, doktoro = dottore o dottoressa, frato = fratello o sorella • Però, per ottenere la forma maschile e femminile Ido impiega il sufisso "-ul-" per la forma maschile e "-in-" per la femminile: (es.: filio = figlio o figlia, filiulo = figlio; filiino = figlia; nepoto = nipote, nepotulo = nipote maschio, nepotino = nipote femmina. • Ci sono alcune eccezioni: patro, matro; genitoro, genitori. • Quando è necessario, il prefisso "ge-" indica il genere comune (i due sessi assieme): avo, avino, geavi. Costruzione della frase • Diretta: Si consiglia di attenersi alle norme seguenti: 1° soggetto, 2° predicato, 3° complemento oggetto. Ad es.:Me hiere donis la lekto-libro a l’afabla damzelo, de qua me recevis ica bela floro (Ieri ho dato il libro di lettura alla gentile signorina, dalla quale ho ricevuto questo bel fiore). Osservazione: I complementi indiretti possono occupare qualunque posto, ma di preferenza si mettono dopo i complementi diretti. Ad es.: Me donis bela floro ad ica damzelo (Ho dato un bel fiore a questa signorina). • Inversa. Si può invertire la costruzione della frase, però, il complemento oggetto, se è posto prima del soggetto della frase, sarà indicato da una -n aggiunta al nome o pronome. Ad es.: Me vidis nulo - Nulon me vidis Me renkontris povra virino en la urbo - Povra virinon me renkontris en la urbo La -n dell’accusativo si usa di regola soltanto con il sostantivo o pronome, ma si può aggiungere all’aggettivo che accompagna il nome: Ad es.: Bela fakton me volas rakontar a vu – Belan faktonme volas rakontar a vu. Principali differenze con l'esperanto. Nell'E-o ad ogni lettera corriponde un unico suono, nell’Ido, per la presenza di due digrammi, ogni parola possiede una pronuncia inequivocabile. Nell'E-o l'accento è sulla penultima sillaba, nell’Ido non sempre, inoltre i dittonghi rendono l’accento meno certo Nell'E-o i caratteri accentati richiedono per la stampa soluzioni alternative non soddisfacenti (ch cx ?), nell’Ido si ha scrivibilità mediante qualsiasi tastiera. Nell'E-o l'ordine dei costituenti della frase è molto libero, nell'Ido è più rigido. Nell'E-o il caso in -n è più complesso, nell'Ido è semplice ma meno ricco. Nell'E-o si ha maggiore effabilità nelle traduzioni, anche poetiche, rispetto all'Ido. Nell'E-o il lessico è più ampio, nell'Ido è esclusivamente romanzo.
(continua)
Dopo l'Ordinazione sacerdotale (giugno 1943 ) passai 4 anni in Seminario con l'incarico di assistente del Vice Rettore Don Cavalleri e del Prorettore Don Marini (ex allievo di Don Calabria) e con la possibilità di dare aiuto spirituale nelle parrocchie di Rovere, S. Vitale e S. Tommaso Cantuariene. Nell'Ottobre 1947 diventai curato a S. Giovanni in Valle in aiuto dell'anziano parroco Don G. Bonometti. Là, in via Caserotte don Giovanni Calabria raccolse i primi bambini e quando io andai in S. Giovanni in Valle, l'Opera di don Calabria aveva già fatto grandi passi. In parrocchia era già sorto S. Zeno in Monte dove c'era la Casa Madre dell'Opera e viveva il Fondatore. Ebbi la fortuna di conoscere e visitare Padre don Calabria, di vedere spesso sacerdoti e fratelli, per es. Don Luigi Pedrollo, Don Luigi Adami, fratel Bisello, e Fr. Nordera, per citarne solo alcuni. Mi recai spesso nello studentato di Nazareth dove conobbi il Superiore don Giuseppe Sandri (che spesso veniva a confessare in parrocchia), chierici Sometti Mario e Vittorio Quaglia e gli studenti ginnasiali e liceali. Molti studenti “Buoni Fanciulli” sono stati miei discepoli nel ginnasio superiore del Seminario insieme con i seminaristi e gli studenti dell'Istituto don Provolo. Ero felice di dare il mio piccolo contributo alla formazione culturale di tanti studenti, anche se mi rendevo conto che i futuri sacerdoti avrebbero svolto il loro ministero anche senza l'uso del latino e del greco. Dopo il ministero in S. Giovanni in Valle lavorai nella rettoria di S. Toscana e poi per 12 anni fui rettore del Santuario Madonna della Salute. Io fui docente di lettere dal 1943 al 1965. Molti allievi ricoprirono cariche di grande responsabilità; alcuni furono insigniti della sublime dignità di Vescovi, tra cui il calabriano Mons. Eugenio dal Corso e Mons. Zenti. Nel novembre 1965 avvenne una svolta nella mia vita. La presenza del nuovo Cimitero Militare Tedesco di Costernano richiedeva un sacerdote che conoscesse la lingua tedesca. Purtroppo morì improvvisamente il parroco di Costernano Don Zamperioli che aveva buoni rapporti con molti tedeschi specialmente con parenti dei Caduti; così fu suggerito al Vescovo Mons. Carraro il mio nome per continuare l'opera di Don Zamperioli. Io diventai parroco di Costernano con incarico di aver cura della popolazione e del Cimitero Tedesco. Io ebbi subito contatto con molti tedeschi, celebrai molte cerimonie, specialmente ecumeniche; inoltre nei mesi estivi celebrai la S. Messa in molti paesi lungo il lago per cattolici di lingua tedesca. Ebbi anche l'occasione di unire in matrimonio molte coppie tedesche che volevano sposarsi in qualche luogo a loro molto caro. A Costernano ho visto molte volte la casa dove nell'estate 1908 hanno passato le vacanze i primi ragazzi raccolti da Don Calabria. Una lapide ricorda quel soggiorno dei primi Buoni Fanciulli Quando rinunciai alla parrocchia per motivi di salute e diventai cappellano di Villa Garda, abitai in via Baesse a pochi metri dalla Casa che aveva accolto i primi Buoni Fanciulli. Nel 1996 entrai in Casa Perez con mia sorella che aveva già 94 anni. Devo dire che l'impressione fu ottima sia per il trattamento, sia per il clima religioso che vi regnava. Fui molto lieto di rivedere qui a Negrar ed a S. Zeno in Monte una dozzina di ex allievi ancora molto attivi; parecchi di essi avevano già lavorato in altre case della congregazione già diffusa in molte parti del mondo. Con gioia ho saputo che il nostro cappellano era Don Mario Sometti che già aveva lavorato con molta dedizione in tante altre comunità. Occorrerebbe un libro per parlarne, da aggiungere al libro del 50° della sua professione religiosa, contenente molte sue poesie in occasione di compleanni di ospiti, di religiosi calabriani, di suore, di volontari e di altre persone benemerite. Da poco il nuovo cappellano è Don Antonio Mosele, ma don Sometti continua a dare il suo prezioso aiuto nonostante gli acciacchi che da molto tempo lo affliggono. Noi gli siamo molto grati per tutto il bene che ha fatto e fa tra noi. Il Signore lo ricompensi molto largamente per tutto il bene compiuto nella congregazione a cui ha dedicato totalmente se stesso. Dobbiamo essere molto grati alla Congregazione in cui molte persone si prendono cura di noi, a cominciare dai Superiori dell'Opera Don Calabria e della Diocesi di Verona. Negrar 15 ottobre 2009
Roma, 22 ottobre 2010 A S.E. MONS. GIUSEPPE ZENTI Vescovo di Verona Eccellenza Reverendissima, abbiamo appreso con tristezza la notizia che il caro don Felice Natale Ruaro ci ha lasciati per tornare alla Casa del Padre. Come cattolici esperantisti intendiamo rivolgere a Vostra Eccellenza e alla Diocesi da Lei guidata l’espressione del nostro profondo cordoglio e l’assicurazione di fervide preghiere di suffragio per il defunto, figura assai cara alla nostra Unione. Egli, infatti, fu per molti decenni associato della nostra Unione internazionale cattolica esperantista: eletto più volte nel Consiglio direttivo, egli fu anche, dal 1970 al 1977, redattore della nostra rivista internazionale, che caratterizzò con una piena fedeltà e difesa dell’autentico Magistero ecclesiale e del Successore di Pietro, in un periodo in cui sembravano prevalere talune interpretazioni “di comodo” del Concilio Vaticano II. Ammiravamo in lui una bella figura di sacerdote animato da grande “pietas”, che abbiamo imparato a conoscere tra l’altro per il suo servizio quale cappellano del Cimitero dei soldati germanici in Costernano: ci colpiva sempre l’umiltà con la quale descriveva il grande bene che realizzava tramite la corrispondenza tenuta con i familiari dei soldati ivi sepolti. Eccellenza, sappiamo che domani Lei officerà le esequie per il caro don Felice. Nell’impossibilità di poter inviare un nostro rappresentante, desideriamo comunicarLe che i cattolici esperantisti saranno comunque presenti spiritualmente e, qualora fosse possibile, La preghiamo di voler porgere alla comunità parrocchiale di Costermano, ai confratelli di don Felice e ai presenti la nostra testimonianza sul caro defunto, perché possiamo esprimere, tramite la Sua cortesia, i profondi sentimenti di vicinanza e di cristiana amicizia della nostra Unione. Con devotissimi ossequi in Xto,
Carlo Sarandrea segretario generale Unione internazionale cattolica esperantista
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Gent. Sig. Sarandrea,il Vescovo di Verona, S.E. mons. Giuseppe Zenti, ha letto con commosso piacere la vs. preg.ma del 22 ottobre 2010 a nome dell'Unione, presentando il vs. cordoglio per la scomparsa di don Felice Ruaro e ricorda con voi, oltre la sua figura spirituale di sacerdote “animato da grande pietas”, il suo contributo per l'Unione internazionale cattolica esperantista. Il vescovo mons. Zenti mi prega di comunicarvi che durante l'omelia, oltre a ricordare le note spirituali e pastorali che anche voi avete colto, ha menzionato la sua lunga e inalterata passione per l'apprendimento delle lingue, e in modo particolare dell'esperanto. Sua Eccellenza coglie l'occasione della presente per inviarvi il suo paterno saluto e la benedizione del Signore. Profitto della circostanza per porgere distinti ossequi.
Verona, dalla Curia diocesana, 29 ottobre 2010. Il Cancelliere Vescovile don Francesco Grazian
(el: www.gioba.it - sendis Tiziana Fossati)
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DankemoAdvokato brile solvis proceson de sinjorino. - Advokato, mi tute ne scias, kiamaniere esprimi mian dankemon! Kion mi povas fari por danki vin? - De kiam la Feniĉoj inventis la monon, estas nur unu respondo al via demando!
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Senpilota aviadiloAviadilo plene aŭtomatigita, ekflugas sen piloto por la unua flugo. Post la atingo de lia krozad-alteco, la laŭtiloj eligas trankviligan voĉon: - Estimataj gesinjoroj, nun vi povas relaksiĝi kaj ĝuj pri la flugo: en ĉi tio aviadilo ĉio estas aŭtomata: piloto, manĝo kaj trinko-servo, regado de la temperaturo kaj aerpremo, alteriĝo; nenio povas rompiĝi, rompiĝi, rompiĝi, rompiĝi...
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En aviadiloEn aviadilo subenfalanta estas tri homoj: piloto, pastro kaj urbestro, sed estas nur du paraŝutoj. La urbestro diras: - Mi min elĵetas unue, ĉar urbo ne povas vivi sen urbestro. Kaj eliras. Tial la pastro diras al piloto: - Eliru vi, kara. Mi aliros al mia Sinjoro. - Tio ne bezonas. La urbestro erare prenis mian dorsosakon anstataŭ paraŝuton.
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En kafejoEniras du amikoj: - Kion vi prenas? - Tion, kion prenas vi. - Do, du kafojn! - Du kafojn ankaŭ al mi! Eniras du politikistoj: - Kion vi prenas? - Al kiu?
(sendis Johano)
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